VENDUTE: cos'é l'Islam
La
storia seguente è un breve riassunto della tragedia realmente vissuta
da due giovani ragazze inglesi. Dovrebbero leggerla tutti i "buonisti"
e coloro che ancora adesso non capiscono cos'è l'islam: forse apriranno
finalmente gli occhi...
Nel luglio 1980, all'età di 15 anni, Zana partì per una vacanza
nello Yemen con un amico di suo padre, Abdul Khada, e il figlio di quest'ultimo,
Mohammed. La vacanza sarebbe dovuta durare sei settimane; lei partì da
sola, con questi due sconosciuti, per un paese straniero. Sua sorella Nadia,
a causa di problemi di salute e di formalità giuridiche, l'avrebbe raggiunta
dopo due settimane. Lei era partita per ammirare i paesaggi dello Yemen, per
cavalcare cavalli, prendere il sole sulle belle spiagge piene di palme, così
come spesso glielo aveva descritto il padre, Muthana, nato nello Yemen: per
lei era una vacanza da sogno.
Era la stessa vacanza che il padre aveva organizzato diversi anni prima per
il fratello e la sorella maggiore... Zana a quell'epoca era solo una bambina.
All'età di 3 e 4 anni partirono per lo Yemen e non tornarono più
a casa.
Dall'Inghilterra alla Siria a Sanaa e quindi a Taez, il viaggio fu lungo e faticoso.
Il calore soffocante,le condizioni igieniche pessime, Zana sentiva già
la nostalgia di casa. A Taez si fermarono presso un amico di Abdul Khada per
passare la notte e mangiare un pò. La moglie del loro ospite era molto
gentile e amichevole con Zana, ma dopo aver tentato di comunicare con lei in
vari modi, incomincio' a piangere. Molto tempo dopo Zana si rese conto che quella
donna sapeva quello che stava per succedere e voleva avvertirla. Lei era l'unica
a non sapere niente; nell'innocenza dei suoi 15 anni si fidava di Abdul Khada.
Hockail, il villaggio nella Maqbana dove abitava l'uomo,sarebbe stata la prigione
di Zana. Questo villaggio si trova a due ore di strada da Taez, la casa è
appollaiata sulla cima di una montagna sassosa, per raggiungerla ci volle una
marcia di mezz'ora su un ripido e pericoloso sentiero. Arrivata a casa di Abdul
Khada Zana conobbe i genitori dell'uomo, Ward, la moglie di Abdul, Bakela, la
moglie di Mohammen e le due figlie di questi ultimi, Shiffa e Tamanay, di otto
e cinque anni.
Le condizioni di vita erano spaventose: un logoro materasso di pochi cm di spessore
su cui dormire, una stanza buia e umida con un secchio che fungeva da bagno,
una buca nel terreno come scarico. Pavimenti nudi sporchi di fango, mura segnate
da escrementi animali e un caldo insopportabile che rendeva questi odori pungenti
ancora più insopportabili...
Ma dopotutto era solo per poche settimane, era solo una vacanza. Abdul si comportava
amabilmente con lei, era gentile e cortese. Lei non sospettò nulla. Poi,
tre giorni dopo il loro arrivo, Abdul le presentò suo figlio minore,
Abdullah, un ragazzo malaticcio di 14 anni e le disse: "Questo è
tuo marito!". "Che vuol dire 'questo è mio marito'?".
"Questo è tuo marito, sei sposata". Zana non capiva, si rifiutava
di accettare; rispose ad Abdul Khada, lottò e negò ma inutilmente.
Suo padre aveva organizzato tutto in Gran Bretagna e Abdul aveva pagato Muhtana
perchè lei sposasse suo figlio. 2500$. Suo padre l'aveva venduta per
2500$. Lei era sola e abbandonata in cima ad una montagna in un paese straniero
senza che nessuno la potesse aiutare. La stessa sera in cui le era stata data
questa terribile notizia, Adbul Khada rinchiuse Zana nella sua stanza con Abdullah
per consumare il matrimonio. Abdullah dormì solo, Zana passo' una notte
insonne, sotto shock, rannicchiata in un angolo. La notte successiva, sotto
minaccia di essere legata al letto, fu costretta a sottomettersi e venne violentata
per la prima volta.
Questo rituale sarebbe continuato notte dopo notte, e ogni volta che lei si
sarebbe rifiutata, sarebbe stata picchiata con violenza da Abdul Khada il mattino
successivo. Essendo una ragazza combattiva, Zana cercava di lottare, ma lui
aveva la meglio senza difficoltà. Abdul le promise che non appena fosse
rimasta incinta sarebbe potuta ritornare in Inghilterra. Questa fu la prima
di tante buglie che le sarebbero state dette.
Rendendosi conto che la stessa sorte sarebbe toccata alla sorella minore, Zana
scrisse una lettera a casa: "Alla mia cara madre. Per piacere non fare
venire Nadia nello Yemen. Mi dicono che sono sposata. Non so cosa succederà
adesso. Ho paura. Ho bisogno di aiuto. Ti prego, non far venire Nadia, ti prego
mamma cara. Aiutami ma soprattutto non fare partire Nadia."
Non aveva altra scelta che dare questa lettera a Abdul Khada affinchè
la spedisse, era il suo solo contatto verso l'esterno. A chi altro poteva darla?
Questa lettera non giunse mai a destinazione... Presa dalla disperazione provò
a scappare, ma senza successo: Mohammed la riportò a casa in pochi minuti.
Era nel mezzo di un deserto ostile e roccioso. Una donna in Medio Oriente, con
vestiti occidentali, senza né soldi né passaporto, non può
andare lontano.
Una settimana più tardi Zana incontrò sua sorella a casa di Gowad,
un altro "amico" di suo padre. Nadia non capiva la tensione della
sorella a quell'incontro, e Zana non potè fare niente per prepararla.
Fu obbligata a spiegare a Nadia la loro situazione: che erano sposate, che il
padre le aveva vendute, e che Nadia adesso era la moglie di Samir, un ragazzo
di 13 anni figlio di Gowad. Lo stesso shock, lo stesso orrore.
In quel momento Nadia, più fragile di Zana, perse la spensieratezza dei
suoi 14 anni e divenne uno zombie, la schiava apatica di questi uomini.
Ma Zana era più ostinata di Nadia, era più forte, avrebbe lottato.
Nadia era debole, avrebbe accettato tutto, si sarebbe sottomessa.
Zana non voleva lasciare sua sorella quel giorno perchè sapeva quale
destino l'aspettava, ma le sue proteste furono vane. Nadia venne portata nella
casa di Gowad, con suo "marito" Samir nel villaggio di Ashube, e Zana
venne rimandata a casa di Abdul Khada, nella sua prigione. Il piano era di separare
le sorelle, in modo che potessero "imparare" a vivere la loro nuova
vita più rapidamente. Per un pò di tempo Abdul Khada permise a
Zana di andare a trovare la sorella ad Ashube, a mezz'ora di cammino. Lei ci
andò tutti i giorni, sempre accompagnata dal suo carceriere, per parlare
con Nadia in inglese, mantenere vivi i sogni e le speranze, per consolarla,
confortarla e lottare per lei.
Dopo un pò di tempo Abdul Khada diede a Zana e Nadia un registratore
e la costrinse a registrare una cassetta per la madre dicendole che andava tutto
bene e che erano felici. Lei registrò queste bugie con il tono di voce
più piatto possibile e Nadia aggiunse poche parole alla fine del messaggio.
Zana poteva vedere il vuoto negli occhi della sorella, sperava solo che anche
la madre potesse sentirlo.
Col passare del tempo, senza notizie del mondo esterno, le ragazze non ebbero
alternativa che occuparsi degli alienanti compiti di una moglie yemenita: trasportare
acqua a piedi da pozzi distanti diversi chilometri, raccogliere legna nelle
foreste, cucinare nei forni di pietra, prendersi cura dei bambini e sopportare
di essere violentate da un marito bambino, giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Zana scriveva continuamente lettere a sua madre. Anche la madre scriveva delle
lettere a Zana e Nadia, ma la corrispondenza non arrivava mai a destinazione.
Tutto veniva filtrato da alcuni amici di Abdul Khada. Nel frattempo Miriam aveva
scoperto quello che il marito aveva fatto alle figlie ma era persa, non sapeva
come o dove iniziare a cercarle. Suo marito la torturava con bugie e mezze verità,
godendo di questo suo potere.
1983: tre anni dopo il suo arrivo Nadia rimase incinta. 29 febbraio 1894: naque
Haney, un bambino. Il parto si svolse in condizioni barbare: sdraiata su un
pavimento nudo e fangoso, con una anziana donna ad assisterla e una lama di
rasoio per tagliare il cordone ombelicale. Niente,assolutamente niente, se qualcosa
fosse andato storto. E Zana sapeva che a lei non sarebbe andata meglio quando
sarebbe toccato a lei.
Essendosi ammalata diverse volte di malaria, Zana trovò finalmente un
alleato in un medico trasferitosi a Hockail. Egli accettò di spedire
per lei una lettera evitando così gli agenti di Abdul Khada, e permise
a Zana di usare il suo indirizzo per ricevere la lettera di risposta.
Lei scrisse immediatamente alla madre, fiduciosa che la lettera le sarebbe arrivata.
Passarono due settimane prima di avere una risposta, ma quando questa arrivò,
iniziò una corrispondenza regolare tra loro. Così alla fine Zana
potè dire alla madre dove si trovassero e tutta la verità sulla
loro situazione.
Dopo quattro anni di buio totale, Nadia e Zana videro finalmente un barlume
di speranza, la fine del tunnel. Zana incoraggiò la madre ad avvisare
la stampa, i giornali, i media e a creare un caso sulla loro storia: il loro
non era solo un rapimento tra tanti rapimenti, uno stupro tra tanti stupri.
Maggio 1986: Zana partorì con difficolta un bambino, Marcus. Nadia partorì
Tina, una bambina che fu escissa il quarto giorno dalla nascita.
Le condizioni sanitarie nella casa di Nadia andavano peggiorando e anche la
sua salute ne fu influenzata. Si rimise male dal parto perchè durante
il parto la sua apertura vaginale era stata lacerata con una lama di rasioio
per permetterle di partorire e la ferita restò infettata per tanto tempo.
Dopo sette anni nella loro prigione nelle montagne, la madre finalmente trovò
le ragazze, pur non avendo ricevuto nessun aiuto dal marito o dalle autorità
inglesi e yemenite. Lei portò con sè due giornalisti britannici,
che finsero di essere volontari. In quella occasione non poterono fare molto
per le ragazze, ma le foto che loro fecero e l'articolo pubblicato crearono
pressione e imbarazzo per i governi yemeniti e britannici.
Il risultato fu che il Capo della Polizia di Taiz fece trasferire in città
le due sorelle per stare con lui, da sole, senza i mariti e i bambini, per raccontarle
tutta la loro storia. Era un uomo leale e gentile, ma fece tutto il possibile
per fare cambiare idea alle ragazze, per dissuaderle dal tornare in Gran Bretagna
e per far cessare tutta la pubblicità creata attorno al caso. Le ragazze
avrebbero dovuto stare con lui per diversi giorni e i bambini le avrebbero raggiunte
più tardi. Zana e Nadia pensarono che l'incubo stesse finalmente finendo.
I giorni diventarono settimane, le settimane mesi. I mariti arrivarono insieme
ai bambini e le due famiglie vennero trasferite in un appartamento piccolo e
in cattive condizioni. Certamente non era l'appartamento ideale, ma di gran
lunga migliore della vita nei villaggi del Moqbana. E mentre sembrava che tutti
nello Yemen cercassero di convincerle a rimanere lì ed ad essere felici
con i loro mariti, loro pensavano all'unica soluzione possibile: tornare a casa
in Gran Bretagna, la terra a cui appartenevano.
In questa parte finale della lotta per la loro libertà, Miriam si unì
alle figlie per una seconda volta. Quando la fuga sembrava vicina, venne fuori
un nuovo ostacolo: se le ragazze volevano lasciare lo Yemen dovevano chiedere
il divorzio. Una volta divorziate, sarebbero state libere di partire, da sole.
Loro non potevano portarsi i bambini. Infatti in base alla legge yemenita, in
caso di divorzio la custodia dei bambini va automaticamente al padre, e i padri
non avrebbero mai permesso ai bambini di partire.
Le sorelle fecero un patto: la prima ad andarsene avrebbe lasciato i suoi bambini
alla cura dell'altra fino a quando tutti gli altri sarebbero potuti partire.
Zana era pronta. Avrebbe lasciato Marcus. Ma Nadia non ce la faceva a lasciare
i bambini. Quindi Zana sarebbe stata la prima a partire.
Per dissuaderla venne fatto di tutto: intimidazioni, corruzione, minacce, bugie.
Ma nel 1988 lei ottenne un nuovo passaporto e un biglietto aereo, finalmente
tornò a casa in Inghilterra. Nadia no; il padre di Samir, Gowad, rifiutò
di firmare un documento che avrebbe permesso a suo figlio di partire con Nadia
e i bambini.
Zana adesso è libera, ma la sua libertà non ha senso fino a quando
la sorella e i suoi bambini sono trattenuti nello Yemen contro la loro volontà.
Nell'anno 2004, Nadia e' prigioniera nello Yemen da 24 anni. Ha 40 anni e sei
figli. Zana e sua madre Miriam hanno provato di tutto per liberare Nadia, per
farla tornare a casa, per ridarle la vita; fino ad adesso purtroppo non ci sono
riuscite. Loro non cederanno mai fino a quando lei non sarà libera.
"Per piacere non vi dimenticate di me, non mi lasciate qui ancora tanto,
vi prego."
Nadia Muhsen, Febbraio 1992, Taiz, Yemen.
Fonti : "Vendute" e "Senza pietà"
- ZANA MUHSEN