Perché vogliono la Turchia in Europa?
 
Il modo in cui va procedendo il dibattito sulla Turchia in Europa è grottesco. Da una parte, quella dei contrari all’annessione, una messe di argomentazioni riccamente e paurosamente basate sulla realtà dei fatti, tante da non poterle neppure elencare tutte in un articolo. Dall’altra uno stillicidio di ottusi, noiosi interventi di opinionisti e politologi, che sui grandi quotidiani non fanno che ripetere a cantilena la necessità imprescindibile di tirarci in casa una popolazione asiatica e musulmana. E senza ribattere a una che una delle tesi esposte da chi si illude che l’Europa riguardi gli europei. Chi ha la pazienza di rileggere, diciamo, una ventina di pezzi noterà che è impossibile ricavarne un senso: non si riesce a capire per quale motivo (rivelabile) la Turchia debba entrare in Europa.

O meglio sì, frugando tra migliaia di parole, stereotipie, annaspamenti, si distilla che, insomma, la Turchia è un Paese islamico moderato e, insomma, perdere l’occasione... Ma traduciamolo una buona volta l’unico vero argomento di costoro: «Ci accingiamo a distruggere l’Europa nella speranza che eventualmente un diciassettesimo del mondo islamico non abbracci l’integralismo». Come dire: sposiamo la vicina di casa per salvarla dal tunnel della droga. Da non crederci.

Contorcimenti geopolitici a parte, l’aspetto che gli analisti si rifiuteranno sempre di affrontare (forse troppo banale) è l’impatto che l’ennesima invasione avrà inevitabilmente sul cittadino comune, quello che non circola sulle auto blu o non ha diritto a una scorta. Eppure le dinamiche sociali legate alle maree migratorie “aliene” sono conosciute e hanno sviluppi implacabili e prevedibili anche dai meno esperti.

Va premesso che il problema Turchia non andrebbe considerato nell’ottica limitata di un Paese asiatico che entra in Europa, fatto di per sé grave, quanto nel quadro più generale di un’invasione islamica preordinata, di cui l’adesione di Ankara è il perfezionamento. Il “colpo finale”, per dirla con Giscard d’Estaing. Malgrado le illusioni di certi osservatori, le declamate incomprensioni tra arabi e turchi riguardano solo il secolare dissidio su chi debba procedere alla testa dell’Islam. Sicché questo entrerà con il passaporto comunitario, senza dover neppure chiedere il permesso di sbarcare a Lampedusa.

La prima fase sarà dunque l’immigrazione di musulmani asiatici, provenienti da un Paese con 70 milioni di abitanti e un robusto tasso di natalità. Un’occhiata alle statistiche tedesche, dove i turchi sono quasi due milioni e mezzo e spregiano l’integrazione, ci dice come siano i loro giovani indipendentemente dalla generazione (prima, seconda, eccetera) a compiere il maggior numero di reati. Ciò si tradurrà in un’ulteriore crescita della criminalità in tutta Europa, ma soprattutto in Italia, vero paradiso per simili iniziative.

Qui in particolare, l’ulteriore peso migratorio comporterà costose politiche assistenziali, ingiustizie nell’assegnazione di alloggi e servizi a danno di anziani, disabili e altre categorie deboli di cui già non importa più nulla a nessuno. Dopo un certo periodo si acuirà la tendenza alla creazione di ghetti, ormai definitivamente strutturata nei decantati Paesi multirazziali: i ricchi al riparo in quartieri ben custoditi, dove volendo potranno organizzare marce antirazziste contro quei poveracci che, non essendo riusciti a evadere dalle zone controllate dalla malavita d’importazione, oseranno protestare. In Italia ovviamente la polizia non farà nulla per difenderli, mentre comunisti e fascisti faranno a gara nel corteggiare i nuovi arrivati per raccogliere voti.

Essendo lo Stato con il maggior peso demografico d’Europa, la Turchia imporrà per quanto possibile la sua visio mundi. Che sarà sempre più radicale: non essendoci i carri armati dell’esercito kemalista a tenere a bada i partiti religiosi, cresceranno le già preoccupanti aspirazioni popolari a una rinascita dell’Islam (di cui tutti si stanno accorgendo, tranne i nostri “esperti”), rafforzate dalla reazione delle famigerate scuole coraniche ad alcune imposizioni “scandalose” dell’Unione in tema di sessualità ed emancipazione femminile.

Un altro aspetto potrà sembrare fantapolitico, ma è già in atto e riguarda gli ebrei. I “nostri” ebrei. Il piemontese Artom, il lombardo Levi... Autoctoni che di diverso hanno solo la tradizione religiosa. Per dissimulare l’incessante travaso di diritti da noi ai musulmani sotto un falso rispetto per le altre fedi, si è già provato a tirare in ballo gli israeliti. In Campania, per esempio, si è preteso di festeggiare nelle scuole tutte le varie ricorrenze religiose, sabato ebraico compreso. Ora, posto che gli ebrei non hanno mai sentito il bisogno di regole speciali, questo andazzo avrà il risultato di equipararli a extracomunitari e stranieri, accomunandoli ai vari Adel Smith nell’immaginario di cittadini sempre più inferociti dall’iconoclastia di stato.

Secondo quella che potremmo definire la Prima Legge dell’antropologia, l’organismo europeo inizierà inevitabilmente a produrre anticorpi. Il problema è che la gente per bene sarà troppo terrorizzata dai politically correct al comando per reagire, quindi il compito verrà assunto da un arcipelago di partiti neonazisti, con aumento di fatti di sangue, aggressioni reciproche, attentati, intolleranza verso ebrei, omosessuali e donne. Ma non potrà andare come in Germania, dove qualche anno fa una politica migratoria più restrittiva ha fatto il vuoto intorno ai neonazisti, poiché non ci sarà nulla da restringere: il passaporto europeo rende chiunque padrone in casa altrui.

Le contrapposizioni tra laici e cristiani, che sono sempre state una deliziosa e stimolante “baruffa in famiglia”, perderanno (stanno già perdendo) il loro significato civile. A farne le spese saranno soprattutto i laici - ovviamente quelli veri, non i comunisti filoislamici - che saranno vieppiù costretti a reagire all’aggressione ai simboli religiosi, ormai trasformati in sinonimi della propria identità etnica. O in alternativa a passare per traditori.

A proposito di etnie, prepariamoci a dire addio alle battaglie in difesa delle “Nazioni senza Stato”: di fronte a un nemico peggiore del centralismo, un nemico esterno, chi si sente europeo finirà per stringersi intorno alle bandiere statali. Spogliati persino delle mutande, culturalmente parlando, per noi la salvaguardia di lingue minori e tradizioni locali diventerà un lusso. E comunque lo stesso concetto d’Europa culturale, ossia la sfida di recuperare quell’unità spirituale vivissima culminata nel Rinascimento, non avrà più un modello interiore a cui ispirarsi, stroncato ai primi vagiti da un neologismo multicontinentale. Infine, la questione forse più preoccupante. I contrari all’annessione si ostinano a paventare un’Europa confinante con l’Iran. Non è vero. Confinerà con la Cina. Non ci stancheremo di ripetere che tutti gli strati sociopolitici della Mezzaluna sono intrisi di “panturchismo”, l’ideologia razziale analoga al pangermanesimo del Reich, che aspira alla riunificazione di tutti i popoli turchici: kazaki, uzbeki, kirghisi, eccetera. Un’altra marea di asiatici musulmani che per la proprietà transitiva avranno pieno diritto di entrare nell’Unione euroasiatica.

Roberto C. Sonaglia
direttore www.rivistaetnie.com