Bloody Sunday
Derry, Irlanda del Nord. 30 gennaio 1972
Almeno
13 morti e più di 14 feriti dopo i violenti scontri registrati a Derry
durante una manifestazione per i "civil rights", i diritti civili,
in favore dei cattolici dell'Ulster.
Obiettivo unico delle truppe inglesi spiegate lungo tutto il percorso della
marcia è di catturare i teppisti più agitati e sbatterli dentro
senza un regolare processo. Le alte sfere dell'esercito britannico hanno modificato
il percorso per costringere gli attivisti più periclosi in punti morti
ed arrestarli senza il minimo sforzo.
"Sarà una manifestazione pacifica" ripete a gran voce Ivan
Cooper, organizzatore della marcia, nel tentativo di convincere quante più
persone possibili.
"Sarà una manifestazione pacifica" ripete Gerry Donaghy, 17
anni, alla ragazza la sera prima della strage, dandole la buonanotte.
Poco dopo l'alba una squadra di parà inglesi, con l'ordine di sparare
a isolati capobanda con fucili capaci di forare lastre d'acciaio, si schiera
all'interno del quartiere di Bogside e prepara il proprio piano di attacco.
Unico obiettivo: "Fargliela pagare!!"
La
marcia ha inizio nel migliore dei modi, Ivan Cooper e la sua equipe intona canti
di pace, mostrando cartelli inneggianti al rispetto dei diritti dei cattolici.
Migliaia di persone seguono il carro e rispondono ai cori nel più pacifico
dei modi. Le truppe dislocate segnalano alla base la posizione del corteo che
viene tenuto sotto controllo a distanza.
Dopo alcune avvisaglie di scontro, portate avanti da alcuni focosi manifestanti,
si crea il presupposto per aprire il fuoco. Dapprima l'esercito inglese in pieno
assetto da guerra cerca di ristabilire la calma con gli idranti ma dopo l'ennesimo
lancio di pietre e bottiglie decide di sparare alcuni proiettili di gomma. La
gomma finisce, non si sa più che fare. Corrono voci che alcuni manifestanti
abbiano aperto il fuoco.
Il capo dei parà si rende conto che il piano preparato per i suoi ragazzi
non funzionerà mai: dietro il muro del cortile in cui sono nascosti c'è
un campo, ma prima di esso si trova un fosso. Sarebbe impossibile sfondare il
muro con i blindati e riuscire a superare il fosso. E' panico. Gli stessi soldati
temono di non riuscire a farcela.
Si
odono dei colpi: è l'inizio della follia totale.
L'esercito inglese è senza controllo e ben presto il piombo sostituisce
i proiettili di gomma. La folla è in preda al panico, non sa dove trovare
riparo. Un numero ancora non precisato di colpi vengono sparati sui manifestanti.
"Ci hanno lanciato una bomba con i chiodi" diranno poi i parà
inglesi, ma verranno smentiti.
Nel frattempo sono stati svuotati già 3 caricatori. I primi feriti cadono
a terra. Cadono anche i morti, cinque dei quali clamorosamente colpiti alle
spalle. Un pittore disoccupato soccorre un ferito sventolando un fazzoletto
bianco. Si china e terra, viene ferito alla schiena, mortalmente. Non c'è
tempo per aiutare chi è stato colpito: si rischia di essere uccisi.
Probabilmente arriva l'ordine di chiudere il fuoco, ma nessuno lo fa. Vengono
sparati gli ultimi colpi. La follia ha termine
A
Londra venne subito istituita la commissione Widgery, che si pronunciò
affermando che i colpi erano venuti dalla folla. Non era vero, e quel verdetto
fu ritrattato. Allora si disse che dall'«aggro corner» erano state
lanciate bombe coi chiodi, ma pure questa tesi fu subito smentita.
A Londra si decise lo scioglimento dell'assemblea di Belfast e il governo diretto
da parte di Westminster, a Dublino venne incendiata la sede dell'ambasciata
britannica, in Irlanda del Nord un'ondata di adesioni all'Ira, perché
all'occupazione delle truppe britanniche i giovani cattolici si sentono chiamati
a rispondere col terrore.
Nessun membro dell'esercito o del governo britannico (che aveva ordinato l'impiego della forza) è stato portato in giudizio, anzi, in seguito al Bloody Sunday l'ufficiale in capo dei parà, il tenente colonnello Derek Wilford, fu decorato dalla regina d'Inghilterra.
"Quel giorno di 30 anni fa fu il nostro 11 settembre”, dice Tom McGurk, editorialista del giornale iralandese The Sunday Business Post. Un atto di terrorismo nei confronti dell’Irlanda.
Un'inchiesta condotta dal governo britannico sotto l'autorità del giudice capo lord Widgery, ex ufficiale dell'esercito britannico, concluse logicamente che gli unici responsabili erano i manifestanti. "Non vi sarebbero stati morti - disse in sostanza il lord - se i manifestanti quel 30 gennaio se ne fossero rimasti nelle loro case".
Le
vittime del Bloody Sunday stavano partecipando ad un corteo organizzato in favore
dei diritti civili ed uno dei punti culminanti della campagna sui diritti civili
era la richiesta di abrogazione dell'internamento senza processo, misura cui
erano sottoposti tutti i prigionieri politici irlandesi.