Venezia, 21 settembre 2003
Intervento
del Segretario Federale
La casa è dove c'è il cuore. Per noi è in Padania.
Ci fu un tempo in cui non sapevamo neppure dove fosse finito il nostro cuore:
in fabbrica, o in un'auto incolonnata in autostrada, o forse in una discarica
industriale.
Almeno adesso sappiamo che il nostro cuore è in Padania. Nell'antica
Padania.
Avevamo appena ritrovato la casa, quando gli schiavisti si sono affrettati a
spiegarci che la Padania non è mai esistita e che noi padani eravamo
condannati ad un esilio perpetuo e senza soluzione, peggio degli ebrei del "Và
Pensiero".
La realtà è addirittura più odiosa se si pensa che, contemporaneamente,
sul torrione del Quirinale, dove risiede il Presidente della Repubblica, sventola
da anni la bandiera della Repubblica Cispadana, che fu all'origine della storia
d'Italia.
Quindi la Padania esiste: non solo nei nostri cuori, ma nella storia ed è
perciò giusto dire che i nostri cuori sono in Padania. Gli stessi figuri
che per anni ci hanno insolentito sostenendo che la Padania non esisteva, ora
ci fanno infiammate prediche sul dovere di rispettare le altre culture, nel
nome della democrazia, del relativismo e della convivenza. Non c'è dubbio
che siamo finiti nella più ipocrita tenaglia razzista! Se rispettassimo
le altre culture come questi predicatori hanno rispettato la nostra, ci condannerebbero
per sterminio.
L'elenco di questi delinquenti antipadani è infinito ed è stato
un errore non registrare le loro nefandezze quotidiane. Ce ne sarebbe oggi un
bel campionario: dal grande giornalista razzista, al bel tomo che a Milano si
oppone a finanziare qualsiasi cosa non sia di marca SPQR, a quelli che non vogliono
i cartelli turistici in lingua locale, a qualche magistrato che fa sentenze
razziste e via e via.
Stiamo permettendo cose inaudite a casa nostra!
La Padania fu sempre combattuta ed osteggiata dai moderni SPQR perché
è un mito della storia. Sono i Celti, i Veneti, i Liguri, un po' gli
Etruschi che poi si fusero nella Longobardia e che si ritrovarono nel giuramento
di Pontida a sconfiggere l'Impero nella battaglia di Legnano, aprendo il mondo
moderno dei Comuni e delle autonomie.
In fondo i nemici di allora erano gli stessi centri di potere attuali, magari
con in più la disgregazione da globalizzazione che sta annacquando e
distruggendo la nostra storia.
Qualcuno dice che è troppo tardi per salvare casa nostra: individualismo,
affarismo, la storia sbagliata del Risorgimento hanno fatto morire la nostra
Padania.
Un signore, qualche mese fa, mi ha avvicinato dopo un comizio e mi ha detto:
"Lei ha ragione. Purtroppo oggi si può solo tirare giù il
cappello davanti alla morte della nostra terra". Io gli risposi che non
dovevamo rassegnarci, che lui aveva pronunciato la stessa frase con cui Nelson
Mandela aveva spinto e sollevato il Sud Africa alla conquista della propria
dignità e della propria libertà.
Così va letto il "Giù il cappello, abbiamo perso il nostro
Paese". Un atto di coscienza e di decisione a farla finita con i furbi
che rispettano solo i loro interessi.
Dalla morte, la vita. Questa è la chiave di lettura. Negli ultimi giorni,
poi, c'è stata la polemica sulla capitale d'Italia, le reazioni stizzite
di chi sostiene: "semo de Roma, fatece passà". Questa gente
finge di non ricordare che, in realtà, nell'Italia settentrionale gli
ideali del Risorgimento erano scemati ancor prima che l'unità fosse raggiunta.
C'era un diffuso senso di delusione davanti ad un regime incapace di portare
quel rinnovamento politico e civile atteso dalle Cinque Giornate di Milano,
dalla ribellione di Brescia e dai Moti del '53. Così la spiritualità
risorgimentale fu abbandonata dai padani con una indifferenza inversamente proporzionale
alla passione degli anni precedenti.
Grande fu la reazione culturale del Nord nei confronti del Romanticismo di ispirazione
patriottica dei Manzoni e dei D'Azeglio. Grande fu il grido dall'allarme contro
l'unità imposta dai Savoia come regime centralista. Un diffuso senso
di oppressione comune si estese sui popoli padani e letterati ed artisti entrarono
in fermento contro quella parte di borghesia del Nord che era filo-romana. Si
rassegnino quindi quelli del potere romano. E' antica certezza che finchè
non sia stata fatta la riforma federalista, Roma capitale sarà sentita
dal Nord come matrigna, causa di palude e di fallimento. Qualcuno sostiene che
se dichiaro che Veneiza, Milano e Torino sono le vere capitali, farei il doppio
gioco. Niente di più falso! La mia voce si alza volutamente senza diplomazia,
perché noi padani rifiutiamo di essere coinvolti nell'astuzia della palude
romana che non si accorge che così tutto muore. Noi vogliamo il cambiamento.
Qualcun altro ce l'ha con la Lega perché è una forza rivoluzionaria
e ci incalza sostenendo che dovremmo fare una rivoluzione senza rivoluzionari,
una rivoluzione da salotto. A questi io rispondo che non possiamo privarci dell'appoggio
dei patrioti padani: quello che possiamo fare è solo scegliere tra patrioti
estremisti e patrioti moderati e federalisti. Io incarno quest' ultima linea.
Non dico che una linea è padana e l'altra no: sono entrambe linee padane
ma io incarno la linea che pensa a cambiare la Costituzione e solo se non fosse
possibile arrivare al federalismo le due linee, fatalmente, convergerebbero
come già avvenne nel '96. A dir la verità, allora vedemmo spuntare
più che i cannoni dei padani, i cannoni e le manette dei novelli Bava
Beccaris, quando la Lega venne perseguitata in tutti i tribunali con oltre 500
processi. Quando io stesso, ad esempio, fui condannato a pagare 430 milioni
per aver detto di un magistrato, che interferiva nelle elezioni amministrative
di Varese con un avviso di garanzia per una pubblicità radiofonica di
10 milioni, che era "un ballabiot". Allora Violante non si commosse
come fa oggi per la vicenda Fassino, anzi, era lui il Presidente della Camera
quando fu dato seguito alla richiesta del magistrato in questione di sequestrare
i miei rimborsi sanitari. Oggi che la sinistra si lamenta della querela di Berlusconi,
vien voglia di ricordare il vecchio adagio "chi la fa l'aspetti".
Detto questo, sottolineo che io non sono d'accordo che per diffamazione aggravata
si chieda il risarcimento di una cifra astronomica.
La dialettica politica va tenuta nel debito conto e se è esagerata meglio
non scadere allo stesso livello per difesa o per rabbia.
Il fatto vero è che Roma ha logorato la democrazia. I conflitti istituzionali
si sono aggravati e lo scontro tra magistratura e politica ha raggiunto livelli
preoccupanti, ma almeno oggi è più chiaro di un tempo da dove
occorre iniziare per cambiare le cose: dal federalismo.
All'inizio degli anni '90 tutti invocavano un cambiamento, ma nessuno sapeva
da dove iniziare. Sì, certo, lo sapeva la Lega ma era ancora troppo piccola
e si poteva pensare ancora di farla scomparire, in un modo o nell'altro. La
società ripiegò sull'illusione, alimentata dal Pool di Mani Pulite,
che mettendo in carcere qualcuno dei responsabili della crisi economica, si
potesse risollevare il Paese. Ma non era un problema solo di uomini, era soprattutto
un problema di sistema. C'era, insomma, il centralismo dello Stato da superare,
non solo qualche ladro da togliere di mezzo. Con l'ubriacatura del Pool, la
proposta della Lega, il federalismo, che stava trovando sempre più consensi
passò in secondo piano ed il Paese imboccò la strada senza uscite
in cui ci dibattiamo ancora adesso.
È uno stato, quello italiano, in cui il processo decisionale è
lento e spezzettato da mille procedure di consultazione, da doppie e quadruple
letture, da referendum, i più vari. Tra quello che si vorrebbe fare e
quello che si riesce a fare passa sempre molto tempo. I politici, insomma, possono
cambiare le situazioni ma solo sulla lunga distanza.
La Lega e i suoi militanti fremono, ma quello italiano è un sistema di
potere collettivo, farraginoso. La prima riforma è proprio quella di
trasformarlo in un sistema di potere personificato, sicuramente più efficiente,
che se controbilanciato con la sicurezza dei valori e con una informazione trasparente,
così da permettere ai cittadini di capire quali siano, di volta in volta,
i significati delle scelte da compiere (la posta in gioco), sarebbe il sistema
più giusto ed equilibrato.
Su questa prima e fondamentale trasformazione di efficienza della macchina dello
Stato, c'è però una resistenza totale da parte della sinistra
che, paradossalmente, da una parte osteggia la personificazione della politica
e dall'altra dà il volto dei leader avversari a tutte quelle decisioni
politiche che giudica negative, riconducendo ogni decisione all'uomo che le
ha ratificate ( che, di volta in volta, è o il premier Berlusconi, o
il ministro Castelli, o il ministro Maroni o qualche volta anche io. Molto meno
AN e l'UDC). Gli esperti chiamano questo andazzo "processo di mediatizzazione"
, pericoloso perchè cambia l'immagine che il popolo ha di un uomo politico:
il dibattito non è più sul merito delle decisioni ma sulla persona
che ha preso queste decisioni.
L'immagine prende il sopravvento sull'analisi delle scelte politiche e delle
loro conseguenze. Per la sinistra questo "tiro al piccione" è
senz'altro redditizio, dal punto di vista del consenso, perchè la gente,
spaparanzata davanti alla televisione, è molto sensibile all'apparenza.
È dal '68 che 'immagine crea la realtà e non il contrario, da
quando partì la pubblicità televisiva su RAI1 francese. E da quel
momento il mondo cominciò ad essere virtuale. E guarda caso è
da allora che ci portarono via le reti RAI, concentrandole a Roma, cioè
lo strumento dell'immagine che crea la realtà. Da allora la nostra realtà
non c'è più. Noi lavoriamo, produciamo e paghiamo, gli altri ne
prendono i meriti e i vantaggi. Il Nord, la Padania non può non avere
la sua cinematografia e la sua rete televisiva pubblica. Questo si deve mettere
bene in testa il Governo. Non c'è nessun motivo, né si può
concedere altra dilazione allo spostamento di una rete televisiva al Nord, secondo
la ben nota delibera Baldassarre - Albertoni che, peraltro, prevede anche una
rete al Sud. Grande scandalo da parte degli SPQR! Eppure non fecero tanto scandalo
quando, zitta zitta, la Signora Moratti spostò la fiction televisiva
a Napoli!
Ripeto, non c'è alcun motivo per opporsi allo spostamento della RAI che
non sia di pura egemonia coloniale. Di noi vogliamo parlare noi! Non Roma. è
per la mediatizzazione, cioè il trasferimento della negatività
sulla persona, che c'è questo scontro continuo contro i leader del governo,
soprattutto contro Berlusconi.
La sinistra persegue così la sua ricerca di consenso elettorale, continuo,
asfissiante. Ma come conseguenza di questa scelta, c'è il caos continuo.
Questa vocazione della sinistra alla mediatizzazione spiega chiaramente la sua
impossibilità di fare riforme costituzionali complete, ovverosia una
riforma federalista con tanto di Corte Costituzionale, di Senato Federale ,
di presidenzialismo o anche di semplice premierato, perchè sono cose
una imprescindibile dall'altra: non si fa il Senato Federale senza il Presidenzialismo,
senza personificazione positiva della politica. Quella che la sinistra non vuole
e che utilizza solo in senso negativo per demonizzare gli avversari politici.
*Noi invece possiamo e dobbiamo farlo il federalismo. Una riforma completa è
stata avviata martedì scorso in Consiglio dei Ministri. Prevede devoluzione,
Corte Costituzionale Federale, il Senato Federale, il Premierato, con il potere
del Premier di nominare i ministri e do chiedere lo scioglimento delle Camere.
Non è un federalismo fortissimo, ma è quello su cui si riesce
a far convergere le forze di Governo. Il Senato Federale è eletto direttamente
dal popolo ed è più debole della Camera delle Regioni i cui membri
sono contemporaneamente gli esecutivi delle Regioni (gli assessori). Il testo
è preliminare, quindi modificabile entro qualche limite, è già
sulla Conferenza Unificata (Stato, Regioni, Provincie, Comuni). Io credo sia
indispensabile introdurre l'estensione al Senato Federale del voto sul bilancio
dello Stato, ora solo alla Camera.
Ho dovuto introdurre nel testo la previsione di autonomia normativa di Roma
Capitale. Norme che possano essere semplici regolamenti o vere e proprie leggi.
La normativa, naturalmente, va fatta dipendere dalla legislazione della Regione
Lazio che, a sua volta, dipende dal Senato Federale.
Qualcuno ha parlato di un diritto di serie C. Certo, se il Nord avesse dato
il 30% dei voti alla Lega, sremmo meno condizionati dagli SPQR. Un federalismo,
quindi, che non è ancora esattamente quello che vogliamo. È un
federlaimso costituzionale, contro Roma Padrona. Ma non entra ancora nel merito
del federalismo fiscale. Non tocca ancora l'art. 119 della Costituzione che
prevede le entrate regionali, cioè:
1. i tributi propri;
2. la compartecipazione al gettito dei tributi erariali del proprio territorio;
3. il fondo perequativo (questa volta è vero, senza vincoli di destinazione)
il che evita che i trasferimenti dello Stato vengano vincolati per azioni amministrative.
Fu il trucco usato negli anni '70 per far fallire il regionalismo e la sua autonomia.
Però io intravedo un nuovo trucco nell'art. 119 fatto dalla sinistra,
perché ci sono una quarta ed una quinta fattispecie che prevedono:
1. risorse aggiuntive
2. trasferimenti speciali senza limiti di motivazione per cui le solite Regioni
potrebbero non far pagare i tributi ai propri cittadini e richiedere le risorse
aggiuntive ed i trasferimenti speciali. Insomma la sinistra ha costituzionalizzato
in questo modo Roma Ladrona e l'assistenzialismo.
Dal punto di vista istituzionale ci sono ancora due problemi che urgono. Quello
della Romagna che vuole riconosciuta la sua dignità di Regione. Quello
della nuova provincia di Monza che deve trovare una soluzione definitiva da
subito, semmai spostando nel tempo la sua attuazione.
Di sicuro la nostra azione è stata già determinante per rompere
il ghiaccio di una Europa giacobina e l'ordigno della pubblicità terroristica
"United Colours", "Unisex". Tutto questo oggi è in
crisi e stiamo assistendo ad una curva ad U della storia con la sostituzione
di un illuminismo virtuale con un progresso che dovrà invece tenere conto
degli uomini Tanta acqua è passata ormai sotto i ponti del Po, dal Concilio
Vaticano II, il tradizionalismo cacciato dalla porta, ritorna dalla finestra.
Le campane continuano a suonare a mezzogiorno ricordando la vittoria di Lepanto
contro i musulmani. Non tutto il passato è stato rifiutato. Ma la battaglia
è lunga e ha bisogno di tutti noi.
Nel breve tempo, chiederò al Governo:
1. di fare il tagliando alla legge Bossi-Fini, con le varie verifiche;
2. via il Tribunale dei Minori
3. via la prostituzione dalle strade
4. che la famiglia diventi soggetto di reddito fiscale, non più i singoli
membri della famiglia.
5. che lo sport ritorni al popolo e ai suoi figli e non ai trafficanti di carne
umana.
Intanto il vecchio ordine mondiale basato sui confini nazionali, sulla sovranità
popolare, cioè la democrazia che è figlia dello Stato Nazione,
sul divieto di interferenza nella vita degli altri popoli, è stato ridotto
e sostituito dalla globalizzazione. L'Occidente ormai si definisce quasi solo
con le idee e non con i territori. Coincide con un sistema di valori: l'Illuminismo,
la democrazia sociale, ecc. Ora, se l'Occidente è definito solo dalle
idee, è evidente che chiunque studi le quattro regolette a memoria può
diventare occidentale. Non ha importanza che viva in centro Africa o a Singapore:
se accetta le quattro regolette è occidentale, è italiano, è
padano, è veneto, ecc, ecc.
L'Illuminismo, che 200 anni fa aveva portato i diritti agli uomini, cioè
la possibilità di avere la propria vita nelle proprie mani, oggi i diritti
li toglie. Nessuno può più avere una propria società, una
propria storia, anzi, la storia è finita per i globalizzatori. In realtà
c'è una forzatura dietro tutto questo mondo alla rovescia, perchè
l'Illuminismo non è l'Occidente, ma è solo uno dei pensieri dell'Occidente
il quale, oltre che di idee, è fatto di cose reali: di popoli, cioè
di storia, di uomini in carne ed ossa, cioè da noi, dal nostro lavoro,
che è fatto dalla nostra terra, che non è né in vendita
ne' in regalo. Il vero problema è che dietro le idee c'è un sistema
di interessi che ha bisogno che l'Occidente sia più virtuale che reale.
Se tutti possono diventare occidentali studiando quattro regolette, allora simmetricamentel'Occidente
può diventare il mondo. E chi comanda l'Occidente diventa il padrone
del mondo. Questa è la base ideologica della globalizzazione: essa è
la conseguenza del deragliamento dell'Illuminismo, che ormai cancella uomini,
terra, storia. Cancella noi e i nostri diritti. Non siamo davanti solo al potere
totalizzante e antidemocratico del pensiero unico, ma anche al progetto di controllare
il mondo da parte delle multinazionali e delle loro coperture politiche. Gli
illuministi hanno aperto il vaso di Pandora ed invece dello spirito benigno
sta ora uscendo il fantasma della povertà per l'Occidente. Tutti, ad
esempio, toccano con mano che oggi abbiamo costi occidentali ma salari orientali,
troppo bassi rispetto al costo della vita.
Abbiamo la fine del sindacato che non può più rivendicare sui
salari dei lavoratori, per non causare ulteriori difficoltà alle nostre
imprese davanti alla competizione internazionale. Abbiamo le grandi immigrazioni
dal Terzo Mondo, favorite non solo per distruggere e relativizzare la nostra
cultura e la nostra storia, ma anche nell'illusione che importando manodopera
a basso costo, magari schiavi, le nostre imprese potessero reggere meglio la
competizione internazionale.
In Europa facciamo le direttive per tagliare i nostri operai e le nostre fabbriche:
basta leggere le Gazzette Ufficiali dell'Unione Europea per accorgersi che è
il mercato degli orrori. Questo Illuminismo è totalmente stupido: non
si è integrato il mercato, ma ha spostato la produzione da ovest ad est.
Questi illuministi stupidi non solo ci vogliono imporre per legge come dobbiamo
vivere, ma vogliono anche chiuderci l'economia. Hanno aperto i confini, tolti
i dazi doganali e adesso i Paesi che pagano poco i lavoratori, o utilizzano
gli schiavi, che non rispettano né regole ambientali nè umanitarie,
sono più competitivi di noi.
Le nostre imprese chiudono ed un numero ristretto di multinazionali, le Top
350, controlla il 40% del Commercio Mondiale producendo in Cina (dato della
Banca Mondiale).
La mistica del mercato ci assicura che in futuro saremo tutti più ricchi.
Ma nel frattempo, saremo tutti morti se non sdoganiamo un nome aborrito dagli
illuministi stupidi: il PROTEZIONISMO finchè non ci sia una regolarità
effettiva del gioco. Per la verità, il popolo ha già capito che
bisogna conservare le economie locali e si è già mosso spontaneamente,
preferendo ai fast food di Mc Donald's, alla cucina cinese, al cus cus, i prodotti
alimentari della tradizione locale.
Adesso tocca fare in grande la stessa operazione di democratizzazione della
globalizzazione, rimettendo i dazi doganali (confine) per salvare il nostro
lavoro e le nostre fabbriche prima che sia troppo tardi.
Lo sviluppo, insomma, deve avere una logica territoriale. Più di 80 anni
fa, Henry Ford sosteneva che se tagli gli stipendi tagli anche il numero dei
tuoi clienti. Però con la globalizzazione i Paesi che tagliano gli stipendi
possono esportare i loro prodotti a basso costo nei Paesi che hanno un alto
costo del lavoro. Cioè i loro clienti sono i clienti altrui. È
fallito il tentativo di tamponare la crisi delle nostre imprese con la manodopera
a basso costo, patrocinato dal Governo dell'Ulivo. L'unico risultato sortito
è stato quello di far saltare tutti i diritti dei nostri lavoratori.
Precarizzazione del lavoro. Passaggio dai contratti a tempo indeterminato a
quelli a tempo determinato. Come sarà il futuro dei nostri giovani? Potranno
mai avere una casa, una famiglia, dei figli, senza la certezza del lavoro? Il
libero mercato, i banchieri, gli illuministi, insomma, hanno fallito. Ritorna
la politica. Il popolo e la sovranità popolare. Ritorna la politica e
lancia il confine per difendere il lavoro ed il prodotto.
I gazebo della Lega, simboli di volontà popolare, tornano in piazza e
lo faranno finchè, attraverso politiche valutarie e politiche commerciali,
siano cambiate radicalmente le cose. Contro il protezionismo, che noi sosteniamo,
si muovono già i peggiori, i nemici dei popoli e della democrazia. "Il
libero scambio è la premessa della pace!" gridano. "Il novecento
ha dimostrato cosa succede quando si antepongono gli egoismi nazionali".
ma sono grida ideologiche, in realtà la chiusura e l'apertura totale
dei confini sono entrambe due condizioni estremamente pericolose. La globalizzazione,
se non venisse democratizzata con la difesa delle imprese e del lavoro locale,
aggiungerebbe alle guerre in atto contro i popoli diversi dall'occidente, gravi
tensioni interne all'Occidente, per reazione contro l'omologazione, la disoccupazione,
l'incertezza sociale.
. Intanto la Cina già oggi esporta arance ed asparagi in Europa ed ha
rubato il mercato agli spagnoli. Presto aggredirà anche il mercato dei
pelati di pomodoro.
· Negli ultimi cinque anni le esportazioni cinesi negli Usa sono raddoppiate:
hanno raggiunto i 125 miliardi di dollari nel 2002.
· Pechino è diventato il terzo partner commerciale americano,
dopo Canada e Messico: paesi legati agli Usa dall'area di libero scambio (nel
NAFTA)
· Il 90% dei sombreri venduti in Messico sono di fabbricazione cinese.
· La maggior parte dei prodotti in vendita nella catena americana Wall
Mart (grandi magazzini) è made in China.
· La Harley Davidson ha protestato con il governo di Washington perché
la Cina non consente l'importazione di moto di grandi cilindrata.
· Ultimamente due fabbriche tessili americane importanti (una è
la Burlington) sono fallite a causa delle importazioni cinesi.
Non c'è dubbio che, in sede internazionale, l'Italia deve mitigare l'impatto
della concorrenza cinese. Tale azione deve essere svolta a livello politico
perché allo stato attuale della normativa internazionale le politiche
valutarie, cioè le pratiche di manipolazione del cambio, sono assai problematiche.
Il RMB (renmimbi) è di fatto ancorato al dollaro USA e gli analisti sostengono
che la moneta cinese sia sottovalutata del 25 addirittura al 40% ma le autorità
cinesi la scorsa settimana hanno rifiutato ogni ipotesi di rivalutazione della
loro moneta. Resterebbe da proporre, come politica valutaria, la modifica dell'ancoraggio
della moneta cinese non più al dollaro, ma ad un paniere di monete in
cui la quota dell'Euro potrebbe essere almeno del 25-30%. Dobbiamo quindi puntare
l'attenzione più sulle politiche commerciali che su quelle valutarie,
ricordando che dazi, quote e altre misure di politica commerciale sono di competenza
dell'UE e che gli Stati membri, tra cui l'Italia, possono richiedere alla commissione
EU l'applicazione di misure di salvaguardia secondo i trattati internazionali
(GATT, WTO, ecc).
Ad esempio, all'atto di adesione al WTO la Cina ha sottoscritto con l'UE un
accordo di salvaguardia provvisorio che può essere utilizzato per imporre
dazi doganali o restrizioni quantitative, cioè quote, alle esportazioni
cinesi per un periodo transitorio che ha durata di 12 anni a partire dal 2001
e che riguarda tutti i prodotti tranne:
1. Calzature, vasellame e porcellane che sono già protetti sulla base
di altri accordi fino al 2005.
2. Tessile il cui accordo di auto limitazione scade alla fine del 2008.
Logicamente prodotti che, ricadranno sotto l'accordo di salvaguardia provvisorio
alla scadenza dei singoli accordi particolari.
Ma occorre che si muova anche il Ministro Maroni che è membro dell'OIL
(organizzazione internazionale del lavoro) per salvaguardare i posti dei nostri
lavoratori.
I nostri gazebo saranno in piazza a raccogliere firme che manderemo al presidente
Berlusconi e al Presidente Prodi ma se il problema non verrà risolto,
dobbiamo prepararci ad una lunga marcia contro l'Europa.
C'è la crisi del mercatismo: cioè del mercato per il mercato,
del mercato fine a se stesso.
C'è la crisi welfaristica, cioè della regolamentazione millimetrica
della società.
Tutto questo chiarisce che è arrivato il momento che il popolo e la sovranità
popolare agiscano di forza contro il deragliamento dell'illuminismo ed il suo
fallimento.
Insomma, la partita politca ed i connessi riallineamenti si giocano sui crinali
statalismo/antistatalismo - mercato/assistenzialismo - globalizzazione distruttiva/sua
democratizzazione con la difesa del lavoro e delle imprese locali - Italia modello
SPQR/Italia dei suoi popoli, delle sue Regioni, della Padania.
Noi dobbiamo affidarci
alla ragione per portare all'adesione i cittadini al programma riformista. Ma
dobbiamo in ogni momento ricordarci che i filosofi sono pochi, con la loro conoscenza
puramente razionale, che sanno le cause delle cose. La loro concatenazione,
che sono capaci di spiegarle. Il popolo ha una opinione molto più emotiva
che si lascia facilmente fuorviare dalle TV e dai giornali. Ebbene, noi abbiamo
un compito difficile: agganciare la linea emotiva ed irrazionale delle masse
padane. E dobbiamo farlo con la passione, perché è l'unico modo
, non per far casino, ma per alimentare la linea razionale, per spiegare i problemi
anche se non in profondità, quello che è però necessario
oer creare una opinione autenticamente vera. Dobbiamo diventare capaci di sentire
dove va la società. Sappiamo che la politica prevale sull'economia (soprattutto
in tempi come i nostri segnati dal fallimento del libero mercato e dei banchieri),
benché non può agire indipendentemente da essa e quindi quando
si prende una decisione politica bisogna assicurarci che l'economia segua uno
sviluppo parallelo. Non basta l'abilità intellettuale, occorre il cuore.
Da non intendere
solo come coraggio, ma anche come solidarietà tra padani. Forse bisognerebbe
creare un sistema di cooperative padane, per distribuire nelle case i prodotti
padani. Sono cose da mettere in programma. Ci aspetta quindi un anno di attività
intensa, con il ritorno nelle piazze.
È prevedibile che vengano approntati i "treni delle bandiere":
da una parte per portare a Roma la volontà regionalista e federalista
della Padania, dall'altra per portare in Europa la volontà della Padania
di non lasciare distruggere la sua economia ed il suo lavoro dalla globalizzazione.
Alto il vessillo della Padania.
VIVA LA PADANIA!!