Riflessioni sul Sessantotto
“Chi
è padrone del passato è padrone anche del futuro”
1. Introduzione
Il
sessantotto fu un evento, un evento che ha influenzato il futuro come nessun
altro: “E dopo, nulla è stato più come prima” (Agnes
Heller – Docente universitaria Professoressa di Teorica Marxista; Opera:
“La liberazione dei bisogni”).
Tutto comincia negli States all’Università di Berkely dove insegnava
un professore di origine tedesca con un nome destinato ad essere famoso: Herbert
Mancuse (1898-1979). Fu un periodo (68-77) di fantasia senza freni ed anche
di grande paura, uno scrittore lo ha descritto sinteticamente così: “in
quegli anni i padri temevano i figli, i professori temevano gli studenti, gli
studenti avevano paura della polizia, che era stata intimorita dalla massa degli
studenti, il governo trepidava per quella nuova sinistra, e i sindacati per
quegli incontrollabili libertari che SEMBRAVANO COSÌ PIENI DI FUTURI,
MA IN REALTÀ ERANO PREGNI ED IMBEVUTI DI NOSTALGIA”.
Il successo del sessantotto sta in quello che è riuscito a distruggere
più che in quello che è riuscito a costruire. Diceva di voler
costruire una società di liberi (sessualismo), di uguali (comuni), di
puri (nudismo), di fratelli, ha invece distrutto la società tradizionale
senza rimpiazzarla con un modello alternativo. Il ’68 non fu un partito,
né un sindacato, non ebbe una matrice culturale o una ideologia univoca
(nazi-maoisti, katanghesi, figli dei fiori), eppure professò tutte le
ideologie (da Marx a Evola). La sua opera più incisiva la svolse nelle
anime degli uomini per mezzo dei costumi e delle mode che lanciò. Mode
e costumi che hanno cambiato mentalità e comportamenti.
“Il ’68 segna l’inizio dell’era post-moderna. Ha rivoluzionato
in modo permanente la vita quotidiana. E dopo, nulla è stato più
come prima. Ciò che sono cambiati non sono i sistemi politici né
gli assetti economici, ma i modi di vivere. Da lì vengono la rivoluzione
sessuale e il cambiamento dei sistemi educativi” (Agnes Heller). “La
secolarizzazione, alla metà degli anni Sessanta, era ancora patrimonio
di alcune elites; noi l’abbiamo fatta diventare carne e sangue, modo di
vivere quotidiano” (Paolo Sorbi – Esponente di Lotta Continua oggi
funzionario della Regione Lombardia – come Ferrara, Liguori, Paolo Mieli,
Oreste Scalzone, Franco Piperno, Livia Turco…).
2. La rivoluzione culturale
Secondo
H. Mancuse, uno degli ispiratori del ’68, questa rivoluzione ebbe lo scopo
di “creare un ambiente libertario” che rendesse possibile l’irruzione
del trinomio “libertè, egalitè, fraternitè”
nella massa e nella vita interna della famiglia.
Nei secoli precedenti l’attacco rivoluzionario era stato sferrato contro
la società religiosa (Lutero), contro la società politica (Rivoluzione
Francese), quindi contro la società economica (Comunismo). Era stato
attaccato il Papa, poi il Re, quindi il Padrone infine il padre e il maestro.
Stavolta l’attacco mira al cuore dell’uomo, direttamente alla sua
anima: “ogni singolo uomo, e tutto l’uomo, è oggetto dell’azione
rivoluzionaria” (Mao Tse Tung – Libretto Rosso). Il ’68 è
una rivoluzione “ad interiore homine”, attacca la cittadella interiore.
Il ponte levatoio che il ’68 vuole abbassato è quello delle tendenze
dell’uomo-massa. I fattori che incidono in questo lavorio sono luci, immagini
(droga), musiche (Rock), colori, ritmi, gesti, il vestiario, gli atteggiamenti,
i desideri (la pubblicità), le emozioni (vecchio-nuovo prendono il posto
di vero-falso). Dal ponte levatoio delle tendenze il ’68 vuole aprire
la porta della cittadella del cuore dell’uomo secondo il detto “comportati
come pensi o finirai con il pensare come ti comporti”. Per lo spirito
sessantottino l’idea è nulla, l’immaginazione è tutto.
John Lennon scrive: “Imagine” (immagina un mondo senza Chiesa, senza
famiglia, senza Dio, senza eserciti, senza polizia…).
Dal modo in cui l’uomo “tende” a comportarsi, quindi, dipende
il modo in cui egli pensa e giudica: “queste tendenze disordinate…
cominciano a modificare le mentalità, i modi di essere, le espressioni
artistiche e i costumi” (Plinio Corrêa de Oliveira ).
Il ’68 è “una rivoluzione nel quotidiano e nell’ambito
familiare che, mediante una rivolta generazionale, intendeva innanzitutto realizzare
la perfetta anarchia, “liberando” gli istinti dell’individuo
(Centri Sociali) e delle masse dal giogo imposto da secoli di cultura e di civiltà”.
Ma la vera liberazione dell’uomo viene vista infine come liberazione dalla
realtà (togli il padre, il figlio, la madre, il vero e il falso, hai
tolto la realtà, quindi si capiscono droga e realtà virtuale).
“L’uomo è libero soltanto quando è libero da costrizioni
esterne e interne, fisiche e morali. Ma queste costrizioni sono la realtà”
(E. Marcuse – suicidio, eutanasia come liberazione dalla realtà,
gesti di follia, neve che si scioglie).
La liberazione dell’uomo non avviene, come nel cristianesimo, redimendo
la colpa, ma negandola e pretendendo di poter tornare alla innocenza dell’eden
(H. Mancuse).
Motti sessantottini: “Vogliamo tutto e subito” – “L’immaginazione
al potere” – “Non più mogli, madri, figlie! Distruggiamo
le famiglie” – “A ognuno secondo il bisogno” –
“La noia è Controrivoluzionaria”.
3. La rivoluzione sessuale
Alain
Touraine (sociologo francese e guru del ’68) afferma: “Il cittadino
del 1789 aveva una testa, i socialisti gli hanno aggiunto i muscoli e noi altri
gli abbiamo dato un sesso e un’immaginazione” (Costruzione della
statua di Daniele o del vitello d’oro). Secondo Mancuse “essere
è essenzialmente lottare per il piacere” … “la lotta
per l’eros è lotta politica”. Solo alla luce del ’68
si è capaci di comprendere le lotte dei radicali e della sinistra per:
educazione sessuale, matrimoni omosessuali, libertà di espressione erotica
spacciata per libertà di espressione artistica, divorzio, salvo poi a
scandalizzarsi per l’aumento di stupri, prostituzione, pedofilia. Tutto
ciò genera una nuova sensibilità, è il vero genuino apporto
che il ’68 dà al mondo “la nuova sensibilità è
diventata una forza politica” (H. Mancuse).
Negli anni ’70 dilaga la pornografia, prima nascosta. La prima casa editrice
a uscire allo scoperto è la Adelina Tattilo legata al PSI. Nel 1967 compare
Men, nel 1974 il film Emmanuelle, le leggi contro la pornografia mai abolite
cadono in disuso. Nasce il nudismo, il topless, i raduni di Woodstock, nell’isola
di Wight, nasce la New Age diffusa dallo spettacolo Hair, scritto nel 1969 che
annuncia l’avvento dell’era dell’Acquario in cui la pace universale
nascerà dal rifiuto del pudore e della civiltà. Nel 1968 esce
il primo film omosessuale “Io e mio fratello” di Robert Frank, il
21 marzo del 1970 la Corte Costituzionale abolisce le sanzioni contro il travestitismo.
Il 26 gennaio 1977 appare sul Le Monde il manifesto sui “diritti del fanciullo
a godere di una vita sessuale” chiedendo l’abolizione del reato
di pedofilia.
4. La lotta contro la famiglia
Sentendo
parlare oggi della famiglia è facile ascoltare espressioni come “al
capezzale della famiglia”; “occorre ripensare la famiglia”;
come se si stesse trattando di una patologia, in realtà in Italia ci
sono 15.000.000 di famiglie fondate sulla unione stabile e legale di un uomo
con una donna e solo 300.000 coppie così dette di fatto. Il bombardamento
della pubblicità e le fiction televisive tendono però a descrivere
di più le seconde che non le prime, le famiglie c.d. allargate che quelle
normali. Perché? L’analisi del ’68 può dare una risposta.
La Rivoluzione Sessuale aveva di mira soprattutto la famiglia come luogo di
costrizione e repressione. Per H. Mancuse la costruzione della società
nuova comportava la distruzione di tutto ciò che perpetuava quella vecchia.
La famiglia è il luogo in cui si tramanda il patrimonio biologico, culturale
ed economico. Essa permette alla società di radicarsi e radicandosi di
avere stabilità, condizione indispensabile per la pace sociale e la tradizione
dei valori. La stabilità è quanto di più contrario alla
forma spirituale della Rivoluzione che necessita di uno stato di continuo divenire
e cambiamento. Per questo motivo la famiglia divenne il centro di tutti gli
attacchi del ’68 alla società civile, fra le tante cose da abbattere
che John Lennon elenca nella sua “Imagine” in testa c’è
la famiglia e l’attuale ministro alle politiche familiari Livia Turco
era fra quelle sessantottine che urlavano “non più madri, mogli
e figlie aboliamo le famiglie”.
Secondo Daid Cooper, maestro dell’anti-psichiatria americana “non
ha senso parlare della morte di Dio se non siamo in grado di concepire appieno
la morte della famiglia, di quel sostegno che, come suo dovere sociale, filtra
oscuramente la maggior parte della nostra esperienza e toglie quindi alle nostre
azioni ogni genuina e generosa spontaneità”. Nel saggio “La
morte della famiglia” (Einaudi Torino 1972 pag.11) propone di cancellare
il ruolo paterno sostituendolo con quello fraterno, per avere una società
di fratelli senza padre, anzi di fratelli perché assassini del padre.
Tante idee comuni, come: “io per mio figlio sono un amico” vengono
da lontano, come l’acqua di un fiume, ne vediamo il letto in cui scorre,
ma non la sorgente da cui è scaturita (il ’68). Questo sconosciuto
anti-psichiatra americano andava più oltre: “Quanto alla famiglia,
scomparirà soltanto quando avremo cominciato a sbarazzarci del patriarcato
e del tabù dell’incesto”, non solo l’incesto ma qualunque
forma di immoralità vista, detta o ascoltata all’interno delle
mura domestiche è utile a “far esplodere la cellula famiglia”
(Idem). Il 22 aprile del 1975 arriva la legge che rivoluziona il diritto di
famiglia abolendo la preminenza giuridica del padre e quindi anche della madre
(questo fatto evidenzia il carattere di processo di questa crisi, che ha i caratteri:
della universalità per estensione geografica; della unitarietà
perché comprende tutte le crisi; del dominio perché tende ad una
caotica supremazia socio-politica). L’attacco alla famiglia fece leva
soprattutto sulla liberazione della donna. Il femminismo si incaricò
di abolire il ruolo che le è proprio per natura e per sviluppo culturale.
Gli strumenti usati sono stati: l’identificazione fra i due sessi, l’aborto
come diritto, la contraccezione con cui la donna diceva “io sono mia e
mi gestisco io”. Tutto ciò ha teso a mascolinizzare la donna ed
effeminare l’uomo.