La storia nascosta: LA LEGA LOMBARDA
Dopo
la morte di Carlo Magno (nell’814) ci furono lunghe lotte fra i suoi successori,
che portarono tra l’altro alla caduta di Pavia ed alla distruzione del
palazzo imperiale. Nelle città padane, dove non arrivava il potere politico
dell'impero proprio a causa di queste lotte di successione, cominciarono ad
assumere una grande importanza sia dal punto di vista religioso sia da quello
politico i Vescovi. Durante questo periodo Milano e altre città con le
relative campagne conobbero un periodo di prosperità, mentre i prelati
ottennero l'investitura del Papa e dell'aristocrazia per governarle. Nacquero
così i Comuni, che rispecchiavano la completa autonomia delle città
e dei loro territori rispetto all'autorità centrale dell'impero. In quel
periodo, l'espansione di Milano generò degli attriti con le città
confinanti: Pavia, Como, Lodi, Piacenza e Tortona. Queste diatribe furono bruscamente
interrotte, nel 1154, dall'arrivo di Federico Barbarossa, il cui esercito devastò
le terre degli alleati di Milano (Piacenza, Crema, Brescia) e distrusse Tortona;
fu poi trionfalmente ricevuto a Pavia e proseguì per Roma dove venne
incoronato imperatore. Prima di tornare in Germania mise al bando Milano, privandola
di ogni autorità e del potere di emettere moneta. I milanesi costituirono
allora una rete di alleanze con Brescia, Piacenza e la Repubblica di Genova
(una delle più grandi potenze navali del Mediterraneo) per combattere
contro i Comuni nemici (Pavia, Novara e Vigevano), e proposero a Lodi un giuramento
di fedeltà, ma questa rifiutò e nel 1158 fu distrutta. I lodigiani,
allora, chiesero aiuto all'imperatore, che giunse in soccorso con un formidabile
esercito che prima mise a sacco e distrusse le campagne e le città alleate,
poi assediò Milano che si arrese solo dopo un mese, durante il quale
scoppiarono terribili epidemie. Le condizioni di resa furono dure, ma la città
non fu distrutta; tuttavia l'imperatore impose che la nomina dei consoli cittadini
fosse ratificata dall'autorità imperiale affermando, in tal modo, l'onnipotenza
dello Stato. La ribellione scoppiò di nuovo non appena l'impero nominò
un podestà per reggere la città. Il Barbarossa dichiarò
i milanesi e i loro alleati “ribelli”, e tornò sul suolo
padano distruggendo Crema nel 1160. Nel 1161 mise di nuovo sotto assedio Milano
con un esercito formato da 100.000 uomini e 15.000 cavalieri. L'arcivescovo,
per non dover riconoscere il potere dell'impero, fuggì a Genova. Il 26
marzo 1162 la città fu evacuata e distrutta, così i comuni Lombardi
persero la loro guida e si sottomisero all'autorità dell'impero, ma iniziava
ad essere evidente che avrebbero dovuto coalizzarsi, per poter difendere i propri
interessi da ogni sopruso. Nel 1164 nacque la Lega della Marca Veronese, formata
dalle città di Verona, Vicenza, Padova e Treviso con l'appoggio della
potentissima Repubblica di Venezia. Poco dopo si formò la Lega Lombarda,
appoggiata dalla Repubblica di Genova. Nessuna “potestatis insolentiam”:
è quanto si ripromisero, il 7 aprile 1167, Milano e i Comuni alleati
di Bergamo, Cremona, Brescia e Mantova di fronte ai ripetuti tentativi dell’imperatore
Federico I di Svevia di centralizzare il potere. Un patto di ribellione e di
reciproco soccorso, quello sancito dal giuramento firmato nel Monastero San
Giacomo a Pontida, teso a rivendicare e difendere fino in fondo la piena autonomia
politico-amministrativa, in risposta alla decisione del Barbarossa di nominare
speciali magistrati per l’amministrazione della giustizia, i podestà.
Davanti alle rovine della loro città gli ex deportati milanesi, aiutati
da un contingente di alleati, impegnandosi alacremente la fanno risorgere in
pochi mesi come per incanto. Ricostruiscono le mura, scavano intorno un grande
fossato, preparano le fortificazioni. Milano dalle ceneri riprende la vita,
e si pensa ad una sola cosa: a una prossima guerra per sbaragliare Barbarossa,
o dargli il benvenuto alla prima occasione. Nel 1168 i capitani delle città
si ritrovano tutti alla Dieta di Lodi per studiare delle nuove strategie. All'assemblea
compare il nome di una nuova città-comune: sorge su una piccola sconosciuta
località alla confluenza del Tanaro con la Bormida. L’insediamento
(anche se era già un plurisecolare piccolo paese) nasce volutamente grande
per un'esigenza logistica, e in una posizione ideale tanto da permettere il
controllo di tutti i punti d'ingresso nella piana lombarda. La Lega a Lodi decise
di farne il baluardo della Lombardia: nacque in brevissimo tempo, senza edifici
di lusso ma con una fortificazione estrema, e venne in breve abitata da 15.000
"leoni". In segno di fedeltà e di alleanza col papa Alessandro
III, un cittadino propose di chiamarla proprio col suo nome: Alessandria. La
Lega Lombarda si estese ad altri Comuni, fra i quali anche Pavia, che però
fece marcia indietro quando l'esercito imperiale sotto la guida dello stesso
imperatore varcò di nuovo le Alpi. Quando Barbarossa arrivò davanti
alle sue mura, Alessandria gli tolse il sonno. Il nome prima di tutto gli ricordava
il suo avversario, poi con i tanti e vani tentativi di distruggerla, cominciò
a vederla come il simbolo e il baluardo della ribellione. Questa città,
dopo i primi assalti andati a vuoto con pesanti perdite, diventò la sua
ossessione e la sua rovina. Ci riprovò diverse volte, ma ogni volta una
carneficina; fallimenti uno dietro l'altro, che invece di scoraggiarlo gli provocarono
un'irrazionale ostinazione che si dimostrò alla fine fatale. Se questa
città non spariva dalla faccia della terra, la sua inespugnabilità
poteva diventare la "favola" di papa Alessandro; questa località
sconosciuta a tutti, sarebbe diventata il sollazzo dei suoi nemici; se le sue
mura restavano in piedi, sarebbero diventate oggetto di scherno; uscirne sconfitti
sarebbe stata una vera onta per l'esercito imperiale, e per colui che aveva
distrutto e incenerito la grande Milano rappresentava un vero e proprio affronto.
Scelse così l'inverno per assediarla, ma ebbe ancora una volta avverso
il destino. L'inverno fu uno dei più rigidi e causò più
sofferenze agli assedianti che non agli assediati. Un'ecatombe ogni volta che
si tentava di prenderla d'assalto per porre fine all'assedio e poter continuare
la campagna militare. Dopo sei mesi, con la "favola" già raccontata
in giro per schernire i nemici e sollazzare gli amici, Federico si ostinò
a far giungere rinforzi: uomini e mezzi da ogni parte. Poi nell'aprile del 1175
Barbarossa ricorse all'astuzia: fece scavare delle lunghe gallerie per entrare
dentro la fortezza. A lavori ultimati cercarono di penetrare nella città,
ma furono scoperti: ci fu un'altra ecatombe. Ne approfittarono gli alessandrini;
con gran coraggio, uscirono da veri "leoni" da quelle stesse gallerie,
attaccarono il campo dell'imperatore distruggendo e appiccando il fuoco agli
accampamenti e alle macchine da guerra, poi rientrarono dalle stesse gallerie
lasciandosele dietro distrutte. Per Barbarossa fu un disastro. Federico tentò
una mediazione con la Lega, ma il conflitto si era ormai troppo inasprito. Lo
scontro non tardò: le due fazioni impegnarono battaglia il 29 maggio
del 1176 a Legnano dove, grazie al valoroso condottiero Alberto da Giussano
(a capo della "Compagnia della Morte"), la vittoria arrise alla Lega:
Il "Carroccio", simbolo dell’alleanza, risultò perfino
troppo piccolo per caricarci tutti i trofei; l'imperatore venne disarcionato,
dovette ripiegare fuggendo e fu costretto a trattare la pace con il Papa Alessandro
III, a concedere una tregua d'arme di sei anni e a perdonare le città
ribelli. I Comuni ritornarono ad essere liberi ed ad avere autonomia politica
e giurisdizionale; la pace venne ufficializzata a Costanza nel 1183. Nel 1185
venne riconosciuta l'autonomia di Milano, che ottenne il territorio episcopale
che comprendeva Monza, Lecco, Busto Arsizio, Gallarate e Varese in cambio di
una promessa d'alleanza, firmata a Reggio Emilia. La Lega Lombarda fu l’espressione
di diverse coscienze municipali in lotta per i propri diritti, consapevoli tuttavia
della necessità di unirsi per poter raggiungere la vittoria. La capacità
di superare rivalità e discordie costituì infatti il principale
presupposto del trionfo di Legnano e della guerra ad oltranza contro Federico
II. La lunga lotta fra l'aspirazione all'autonomia ed il potere centralista
dell'impero si concluse così con la vittoria della libertà.