Sos-Francia:
sotto il velo avanza la legge islamica
Se
la Repubblica non funziona, bisogna mettersi il velo. Paradossale, ma dopo sei
mesi di lavoro i saggi che Jacques Chirac ha incaricato di studiare la questione
detta della «laicità», hanno concluso che in molte zone del
territorio la République e le sue leggi non esistono più. In certe
banlieues o «cité» i poliziotti non entrano, i vigili del
fuoco vengono presi a sassate in quanto rappresentanti dello Stato, i medici
in servizio vengono sistematicamente rapinati. Non solo. Le ragazze non possono
nemmeno attraversare gli ingressi dei condomini se non hanno il velo. Lì
sono in azione gruppi di maschi che giocano, scherzano, controllano. Se hai
il velo, bene; altrimenti sono sputi, insulti e botte. Molte ragazze si portano
un «foularino» in tasca in caso di bisogno. Molte sono costrette
a portarlo ovunque. Ecco, il paradosso: il velo islamico che segna e stigmatizza
la donna diventa uno scudo dove lo Stato non è in grado di proteggere
i cittadini. La conclusione è solenne e drammatica per il modo in cui
l'ha pronunciata il professor Bernard Stasi, presidente della commissione incaricata
da Chirac: «La realtà che abbiamo scoperto è più
grave di quanto ci aspettassimo: l'unità della Repubblica è in
pericolo». E dunque via dalla scuola e dai luoghi pubblici tutti i segni
«ostensibili» che manifestano un'appartenenza religiosa e/o politica.
In pratica, niente velo o foulard islamico, no a una grande croce esposta sopra
i vestiti, no alla kippà ebraica. Le tre grandi religioni monoteiste
sono servite. A sorpresa i venti saggi hanno anche consigliato a Chirac che
diventino giorni di vacanza scolastica la festa ebraica del Kippur e quella
musulmana dell'Aid-el-Kebir e che ai dipendenti sia consentito di mettersi in
ferie in una delle due feste. La «commissione Stasi» ha finito i
suoi lavori e fatto le sue proposte. Ora la palla torna alla politica, Jacques
Chirac farà le sue considerazioni e darà il suo indirizzo che
però ha annunciato da tempo: «La laicità non è negoziabile».
I partiti discuteranno e si divideranno, ma grosso modo all'Assemblée
non ci sono grandi divisioni: destra e sinistra sarebbero d'accordo per traformare
in legge e quindi in divieti le raccomandazioni della commissione. Tutto questo
era previsto e prevedibile. Ciò che era meno prevedibile è la
profondità della malattia che si chiama anche antisemitismo, ma non soltanto.
E' la repubblica frammentata, «communautaire» e cioé divisa
per comunità, dove la comunità etnica o religiosa diventa un rifugio,
ma anche una zona franca dalle leggi. In Inghliterra o in America non farebbe
scandalo; in Francia sì perché qui vive l'ideale illuministico
e rousseauviano dell'uguaglianza. Il rapporto della commissione Stasi è
spietato e due secoli dopo la Rivoluzione, tocca constatare che liberté,
égalite e fraternité sono escluse da un bel pezzo di Francia.
Lo hanno raccontato alla commissione insegnanti e studenti, medici e infermieri.
Molti testimoni hanno chiesto di essere ascoltati in segreto, soprattutto le
ragazze col foulard. Nelle scuole succede che si moltiplicano i giorni di assenza
per motivi religiosi, cresce la richiesta sospendere esami e lezioni per motivi
di preghiera e di digiuno, gruppi di ragazzi contestano i programmi e i contenuti
delle lezioni di storia, le ragazze rifiutano senza giustificazione di partecipare
alle lezioni di ginnastica, molti genitori contestano l'autorità delle
insegnanti donna, le studentesse rifiutano gli esami con un insegnante maschio.
Negli ospedali si sono moltiplicati gli interventi di mariti e padri i quali
pretendono che mogli e figlie vengano curate soltanto da medici donna e infermiere.
Certo angoli di corridoi e certi locali sono stati di fatto sequestrati e trasformati
in sale di preghiera. Mense alternative riforniscono i pazienti che desiderano
alimenti selezionati e cucinati secondo i precetti religiosi. L'antisemitismo
è ormai conclamato, l'insegnamento dell'Olocausto è praticamente
impossibile, 220 liceali ebrei hanno portato alla commissione testimonianze
incredibili: nessuno può mettersi la piccola kippà in testa senza
pensare di prendersi almeno una sberla in corridoio. Moltissimi hanno lasciato
la scuola pubblica, studenti e anche insegnanti con nome di origine ebrea perché
gli risultava impossibile lavorare. In questo calderone il foulard sembra una
piccola cosa, eppure è la più simbolica. La commissione Stasi
ha scritto nel suo rapporto che la condizione di vita delle ragazze nelle «cité»
è un «autentico dramma». Sessismo esasperato, violenze verbali,
psicologiche o fisiche. Gruppi di pressione (interni ed esterni alla famglia)
che impongono alle adolescenti di portare abiti asessuati, abbassare lo sguardo
alla vista degli uomini. Il foulard è imposto, spesso con violenza. Di
qui la proposta del divieto, che in realtà viene spiegata come una «protezione
delle ragazze». Ma si puo' proteggere qualcuno per legge?
"La Stampa" 12/12/2003